RIAPRIRE UNA FINESTA

Strane giornate mi riempiono la vita. Impegni improvvisi e cambi di programma che intrecciano percorsi da anni mai ripresi. Così accade che stasera devo uscire, che all’improvviso l’appuntamento viene spostato un’ora più tardi e, tra mille imprecazioni, mi ritrovo a girare in auto da solo. Per fortuna conosco la zona, così vado a salutare un amico al bar, la gente trabocca da ogni fessura; bicchieri, risate, urla e fiumi di profumi imbarazzanti mi otturano le narici. Saluto, bevo un gingerino e esco. Me ne vado subito, portando con me una strana sensazione: il desiderio di fuggire. Salgo in auto e ingrano la marcia, mi chiedo come sia potuto accadere, perché avverta quel profondo senso di voler allontanarmi dal posto e da quella gente…
Rimango assorto nei pensieri per qualche chilometro e poi accolgo la risposta che arriva direttamente dall’anima; perché non ho più nulla da condividere con loro. Stesse facce, stesse situazioni, stesse serate, solo una variabile tra tutte le costanti, siamo tutti più vecchi! Il pensiero aggiunge un filo di tristezza allo spirito…
Così arrivo al locale stabilito per cena. Dopo trent’anni ci ritroviamo.
Parcheggio in anticipo, attendo in auto, riprendo in mano un piccolo libro che tengo sempre con me, letto e riletto mille volte, le pagine ormai consumate, ma riempie il cuore ogni volta che lo sfoglio e ne rubo piccoli passaggi. Lo ripongo e scendo dall’auto. Il conta-passi da polso segnala che ho camminato poco, così parto; la serata è calda, l’aria è invasa dalla polvere di un clima che non concede più lacrime vitali e le auto a qust’ora fanno da pessima cornice a un tramonto sublime. Cammino distratto, con lo sguardo libero, seguo ciò che mi attrae e attendo che scorra il tempo.
Che dopo molti passi fissa la lancetta al momento stabilito. Torno indietro e li vedo, un grande sorriso ci accoglie. Sembriamo i quattro moschettieri; cresciute le pance, caduti i capelli, le rughe dei volti che a scuola non c’erano, ma ciò che mi abbaglia sono gli sguardi. Gli stessi di allora; furbi, intensi, dolci, vivaci. Nessuno di noi ha perso la luce di allora, eppure sono quasi tre decadi che non ci vediamo…
Li abbraccio. Sento l’emozione salire agli occhi, che lasciano scorrere una lacrima sincera.
Il resto diventa relativo. Si tratta di una cena organizzata, dove centinaia di persone si incontrano per mangiare e ballare. Noi ci siamo perché è equidistante da casa per ognuno di noi. Trovo divertente considerare che alla nostra età la distanza diventi un punto fermo nelle scelte, più importante del locale e della gente. In ogni caso ci hanno messo al tavolo con delle simpatiche donne, carine e cordiali, in entrata l’attenzione del gestore, per un attimo, viene apprezzata. Ma basta un istante perché i ricordi ci racchiudono tra le nostre mura, dove non esistono accessi. Basta quell’istante e siamo di nuovo soli tra noi, immersi tra ricordi e episodi, a volte dimenticati, a volte da dimenticare.
Si fa notte, la musica cresce, la cena è ormai terminata, io sento l’esigenza di uscire, di tornare a casa, perché domani è sabato e Zoe deve comunque essere accompagnata a scuola. Non mi va di rinunciare al privilegio di farle da autista. Mi congedo. Li saluto con affetto, li abbraccio con forza. Soprattutto l’ultimo amico, che è rimasto in disparte proprio per essere l’ultimo. Quell’espressione da impunito che ho sempre vissuto come un fratello, più di un fratello. Che da ragazzo si è fatto carico delle mie fragilità, delle mie confidenze.
Mi abbraccia. restiamo così per un attimo più lungo, più intenso, più affettuoso. Ci scambiamo la promessa di non aspettare ancora trent’anni…

L’ultimo sguardo lo accompagna a parole di sincera stima per me, per il mio percorso, per i miei successi. Lo abbraccio di nuovo, senza parlare questa volta, ho un groppo in gola che non riesco a ingoiare. Mi volto, mi allontano con un braccio levato per l’ultimo saluto e ringrazio Dio di avermi donato tutto ciò che ho vissuto. Peace.